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CASSIOPEA
Cassiopeia, Cassiopeiae
Cas
La costellazione di Cassiopea nell'Uranographia di Hevelius (1690).
Immagine: http://www.atlascoelestis.com
Raccontare di Cassiopea significa parlare del celebre mito di Andromeda, presente in cielo con tutti i suoi protagonisti trasformati in costellazioni: Perseo, la Balena, Cefeo - padre di Andromeda e sovrano d’Etiopia - e appunto Cassiopea, la madre nonché regina. Chi conosce la vicenda della principessa etiope sa che, al nome della fanciulla, il pensiero va a una ragazza incatenata a uno scoglio in attesa di essere divorata da un mostro marino, la Balena, fino a quando dall’alto non arriva l’eroe Perseo a salvarla. Il mondo dell’arte è colmo di quadri che illustrano la scena, la quale ha ispirato tanti pittori rinascimentali, e ancora oggi non smette di alimentare la creatività degli artisti. Tuttavia il vero motore del mito sta nel personaggio di Cassiopea, la madre di Andromeda, raramente presente nelle opere d’arte e, forse per questo, passata indebitamente in secondo piano. Se Andromeda dovette essere sacrificata agli dèi, fu infatti a causa di Cassiopea. Il mitografo greco Apollodoro racconta in poche righe l’accaduto:
Giunto in Etiopia, dove regnava Cefeo, Perseo trovò che la figlia del re, Andromeda, era stata offerta in pasto a un mostro marino. Era accaduto che Cassiopea, la moglie di Cefeo, aveva sfidato le Nereidi a una gara di bellezza, vantandosi di essere superiore a tutte loro. Le Nereidi si adirarono, si adirò anche Poseidone che mandò contro il paese un’inondazione e un mostro marino. L’oracolo di Ammone sentenziò che avrebbero posto fine alla sciagura se la figlia di Cassiopea, Andromeda, fosse stata offerta in pasto al mostro.
(Apollodoro, Biblioteca, II, 4, 3)
E così fu. Cassiopea era una donna di grande bellezza e a tradirla furono la consapevolezza del suo splendore e l’orgoglio in cui cadde. Con la gara che indisse in realtà, ella desiderava forse più che vincere, che le divinità riconoscessero che la sua bellezza andava oltre l’umano, che era una bellezza divina appunto, innestata però in un corpo non altrettanto potente, inadeguato per così dire; Cassiopea incarnava una magnificenza infinita destinata però a svanire a causa dell’effimera condizione mortale che le era toccata, dunque il suo dono portava con sé una sorta di ingiustizia: che andava rivendicata. Dal suo palazzo in prossimità della costa, quante volte la regina deve aver guardato lo sconfinato mare dominato dal tridente di Poseidone e pensato che laggiù, nei fondali taciturni, danzavano spensierate le Nereidi, meravigliose divinità dell’acqua a cui lei non era inferiore in nulla se non nella mortalità.
Dopotutto era una regina fortunata, si ripeteva, era la regina di una terra baciata dal sole e dal mare, amata dal suo popolo e ancor più da Cefeo, re saggio e sposo fedele, che nemmeno un giorno mancava di adorarla come fosse una dea.
Già, una dea. Ma una dea non era … e l’amabile Cefeo non era Poseidone. Eppure lei era bella come una dea, anzi era bella come cinquanta dee; di più: era più bella delle cinquanta dee più splendide del mare! Le amabili figlie di Nereo, il sovrano dei fondali prima di Poseidone. Le lusinghe di Cefeo la rendevano felice sì, ma solo per il breve attimo in cui le parole uscivano dalla bocca innamorata. Il pensiero poi andava all’ingiustizia che riteneva di aver subito, e il sorriso si spegneva in un’espressione malinconica. Il tempo passò. Cassiopea ebbe una figlia che chiamò Andromeda e la cui grazia cresceva di pari passo. Trascorsero dunque gli anni anche per la regina, ma il suo splendore rimase intatto, il suo fascino della stessa consistenza, nonostante qualche lieve segno del tempo si fosse appoggiato sul suo viso. Al tramonto amava passeggiare in riva al mare, lasciandosi vezzeggiare dal vento che si insinuava fra i suoi capelli e le scopriva il viso per baciarla. Fu durante uno di quei tramonti che Cassiopea si ritrovò a fissare le acque mentre piccole onde le bagnavano i piedi a intervalli regolari. Pensava alle cinquanta figlie di Nereo: Galatea, Doride, Teti, Eudora… Una a una le ricordò tutte e per ognuna concludeva che in fondo non era bella quanto lei. Per qualche istante immaginò le Nereidi davanti a sé, dopo essere emerse dall’acqua, che l’ascoltavano. Con fare sarcastico, finalmente si vendicava, e lo faceva dicendo loro che l’eternità di cui godevano, non serbava in realtà alcunché di invidiabile, poiché altro non sarebbe stata se non un continuo monito della loro inferiorità dinanzi alla regina d’Etiopia. Perché lei, Cassiopea, avrebbe potuto sfidarle anche a una gara di bellezza sicura di riportare la vittoria. Assorta in questi pensieri, non si rese conto che la conversazione immaginaria era giunta alle Nereidi. Le creature flessuose rimasero sbigottite all’udire una simile arroganza e, adirate, riferirono tutto a Poseidone: Cassiopea con il suo discorso insensato, quello che i greci chiamano acreios logos, si era macchiata di hybris, uno degli atteggiamenti più gravi che gli esseri umani possano assumere. Hybris è l’insolenza, l’oltraggio, la prepotenza con cui gli uomini pretendono di superare la loro condizione, osando raggiungere gli dèi, dunque osando sfidarli. Nella mitologia greca la hybris è un tema molto sentito perché va a minare alla radice il rapporto dell’uomo con il divino. Chi si disonora con la hybris è come se commettesse nei confronti degli dèi un vero e proprio reato, con essa infrange il cosmos, l’armonia, l’ordine stabilito alla creazione dell’universo. Per questo alla hybris segue quasi sempre la nemesis divina, ossia la vendetta. Poseidone infatti non tardò a punire la regina vanitosa. Ma la punizione divina quasi mai si limita a castigare solo il colpevole, piuttosto essa si estende a tutto il mondo che gli ruota attorno. E così, la terra d’Etiopia venne prima inabissata con una tremenda inondazione e poi paralizzata con le scorrerie di un mostro feroce inviato nel mare che la lambiva.
Come porre rimedio a una situazione tanto drammatica e allo stesso tempo segno di scandalo? Il buon Cefeo, disperato, fece quello che ogni antico avrebbe fatto in simili circostanze: consultò un oracolo. In Africa, l’oracolo più famoso e potente era quello egizio di Ammon. Nell’oasi di Ammon si recò il re d’Etiopia e lì venne a sapere la terribile richiesta che gli dèi avanzavano per placare la loro ira: Cefeo doveva sacrificare sua figlia – la sua unica figlia – alla belva che spadroneggiava nelle acque costiere. A tanto dunque conduceva l’insolenza umana. Affranti e inconsolabili Cefeo e Cassiopea ubbidirono all’oracolo, e Andromeda fu incatenata a uno degli scogli che si ergevano in quella parte di mare. Concentrati sul rumore dello sciabordare delle acque, per la prima volta sinistro, i sovrani insieme agli abitanti sopravvissuti, attesero che si compisse il volere degli dèi.
E la nemesi divina si sarebbe realizzata se non fosse sopraggiunto l’intervento salvifico di Perseo, eroe argivo di ritorno dalla missione nel regno delle funeste Gorgoni. Una di esse era Medusa, creatura dai capelli di serpi e dagli occhi fatali; chi ne incrociava lo sguardo diveniva all’istante un corpo di pietra, senza più vita. Perseo stava tornando vincitore dalla sfida e volava nell’aria grazie ai sandali alati dono di Ermes, portando chiusa in un sacco la testa di Medusa, i cui occhi non avevano perso il loro potere. Quando si trovò a sorvolare la costa devastata da tanta furia, la bellezza di Andromeda lo conquistò in pochi attimi e, compreso il destino che l’attendeva, si precipitò da Cefeo promettendogli di salvare la figlia a patto di poterla avere in sposa. Fu così che servendosi del suo trofeo dagli occhi fatali, Perseo pietrificò il mostro e liberò la principessa che poi sposò. L’epilogo della vicenda giunse nelle profondità del mare per bocca di Tritone, figlio di Poseidone e Anfitrite. Egli raccontò il salvataggio di Andromeda e le sue successive nozze con Perseo a Doride e a Ifianassa, due Nereidi che così commentarono:
Ifianassa: “A me l’accaduto non dispiace per niente. Che torto ci ha fatto la fanciulla se sua madre era piena di superbia e pretendeva d’esser più bella?”
Doride: “Ma così si sarebbe addolorata per la figlia, lei che era sua madre”.
Ifianassa: “Non stiamo più a rivangare quelle cose, Doride, se una donna barbara ha cianciato ben al di là del giusto. E’ abbastanza la pena che ci ha pagato, la paura per la figlia. Rallegriamoci dunque per le nozze”.
(Luciano di Samosata, Dialoghi Marini, 14)
Andromeda fu quindi risparmiata, l’ira degli dèi si placò, accontentandosi dello shock procurato a Cassiopea. D’altra parte il destino ultimo della principessa etiope era quello di dare una ricca e gloriosa discendenza a Perseo.
Per quel che riguarda Cassiopea invece, gli dèi esaudirono in un certo senso il desiderio di immortalità della regina. La trasformarono in costellazione e la posero su un trono proprio nella calotta del cielo, là dove le stelle non tramontano mai. Tuttavia la sua hybris non si poteva cancellare; anzi, la storia di Cassiopea doveva fungere da avvertimento a tutti gli uomini. Per questo ella fu posta sulla volta celeste capovolta e…
… in atto che ne figura la condanna e presso alla derelitta
Andromeda, paurosa delle fauci immani della Balena,
[la piange esposta alla marina e incatenata agli scogli]
se Perseo anche in cielo non fosse fedele all’antico amore
e non le porgesse soccorso e non sorreggesse il non contemplabile volto
della Gorgone, trofeo per lui e rovina per chi vi fissi lo sguardo.
(Manilio, Astronomica, I, 355-360)
Come si può vedere dalla tavola uranografica risalente alla fine del XVII secolo (a inizio pagina), opera dell’astronomo polacco Johannes Hevelius, Cassiopea ruota attorno alla stella polare rivolta verso il basso. Per il resto, nel mondo dell’arte la regina non appare frequentemente e, laddove lo sia, viene ritratta pressoché sempre accanto a Cefeo nella scena simbolo del mito di Andromeda, quella in cui la principessa viene salvata da Perseo.
Un quadro dello stesso periodo dell’Uranographia di Hevelius, è quello del francese Pierre Mignard conservato al Louvre dal titolo Il re Cefeo e la regina Cassiopea ringraziano Perseo per aver liberato Andromeda.
Il dipinto di Pierre Mignard del 1679 ritrae Cefeo e Cassiopea nell'atto di ringraziare Perseo che ha salvato la loro figlia Andromeda (Louvre).
In questa tela sono i personaggi dipinti che guidano lo spettatore a riconoscere i vari elementi della vicenda. Al centro della scena Cefeo si inchina a baciare la mano provvidenziale di Perseo in segno di riconoscenza e di profonda sottomissione, un comportamento questo volutamente stridente con una testa coronata quale è quella del re. Cassiopea è accanto al marito e cinge Perseo. Egli la guarda e la tranquillizza indicando a lei e allo spettatore la figlia salva. L’attenzione si sposta così su Andromeda al lato del dipinto, dove un amorino sta sciogliendo le catene. Un altro invece è impegnato a tenere le briglie di Pegaso, il cavallo alato generatosi dal collo decapitato di Medusa. In una variante del mito infatti, Perseo non indossa i sandali alati di Ermes, ma vola su Pegaso. All’altro lato del quadro infine sta la folla che, insieme alla coppia regale, attendeva sofferente il compimento del sacrificio. Le donne acclamano l’eroe, mentre gli uomini guardano increduli il mostro marino che giace inerte sulla riva, pietrificato dallo sguardo di Medusa. A pochi passi di distanza, la testa mozzata della Gorgone è riversa sulla sabbia.