VI: Il compimento di un destino
Perseo voleva rivedere Acrisio, suo nonno, voleva dirgli che, nonostante tutto, non doveva temere nulla, addirittura non serbava rancore per quanto aveva fatto a lui e a sua madre.
Così il ragazzo, con Danae e Andromeda, si affrettò in direzione di Argo. Ma le notizie erano state più veloci di lui.
In tutta la Grecia infatti si narravano racconti straordinari sull'uccisione di Medusa ad opera di un giovane chiamato Perseo il quale diceva di essere figlio di Zeus, e si diceva che avesse ucciso anche il mostro che minacciava la principessa d'Etiopia e che infine avesse pietrificato il re dell'isola di Serifo. In tanti vi si recavano per vedere la statua di Polidette, increduli sostavano davanti a essa e impallidivano nell'apprendere che egli udiva e capiva tutto. Ovunque si parlava di Perseo come di un eroe eccezionale, buono e temibile allo stesso tempo. Massimo era il rispetto all'udire il suo nome. La fama del ragazzo era naturalmente giunta anche ad Argo e correva voce che egli stesse tornando nella sua città natale.
Quando Acrisio lo venne a sapere, per timore dell'oracolo, abbandonò Argo e si rifugiò nel paese dei Pelasgi. Accadde che Teutamenide, re di Larissa, indisse delle gare ginniche in onore del padre morto e anche Perseo venne per prendervi parte, ma, nella gara del pentathlon, scagliò il disco e colpì Acrisio al piede, uccidendolo sul colpo.
(Apollodoro, Biblioteca, 2.4.4)
Proprio così: Acrisio scappò lontano, a nord, fino alla città di Larissa in Tessaglia, distante più di cinquecento chilometri da Argo! E là vi andò anche Perseo, ignaro della presenza del nonno.
Forse Acrisio, quando seppe che fra gli atleti c'era anche suo nipote, sperò di aver eluso precedentemente la profezia. Dopotutto sedeva anonimo fra gli altri spettatori e Perseo era completamente preso dalla gara. Che pericolo poteva correre? Di certo però quando venne il turno del lancio del disco e quel disco colpì proprio lui, l'ultima visione che attraversò gli occhi di Acrisio prima che la morte glieli chiudesse per sempre, fu quella di due sacerdoti di Delfi che tanti anni prima guardandolo gli dissero “Da tua figlia nascerà un figlio che ti ucciderà”.
Con queste parole commentarono l'accaduto due grandi dell'antichità:
Per Acrisio, così, si compì la predizione del dio, né le crudeli precauzioni prese nei riguardi della figlia e del nipote valsero a stornare da lui il suo destino.
(Pausania, Viaggio in Grecia, 2.16.3)
E così ciò che Perseo non volle fare di sua volontà fu compiuto dagli dèi.
(Igino, Miti, 63)
Perseo, raggiunto lo spettatore privo di vita, non volle credere a ciò che gli veniva riferito; non poteva essere suo nonno quello! Non poteva nemmeno pensare di avere ucciso un innocente. Non era un assassino lui…
Perseo, allora, se ne andò ad Argo e, poiché la fama dell'assassinio gli recava disonore, persuase Megapente, figlio di Preto, a scambiare con lui il regno e, una volta ricevuto il dominio di quello, fondò Micene, perché in questo luogo gli era caduto il puntale del fodero (mykes) e quel segno egli ritenne che gli fosse occorso perché fondasse una città. Ho udito, però, anche un'altra leggenda. Perseo, assetato, ebbe l'idea di cogliere un fungo (mykes) dalla terra: ne scorse dell'acqua, che egli bevve di gusto, ragion per cui impose alla località il nome di Micene.
(Pausania, Viaggio in Grecia, 2.16.3)
Così termina la storia di Perseo, con la fondazione di Micene, città simbolo della civiltà cantata da Omero, resa immortale dagli eroi che ne impersonarono l'anima: Achille, Agamennone, Menelao, solo per citare i più famosi. Da Andromeda invece ebbe sette figli e la sua stirpe proseguì per diverse generazioni, l'ultima delle quali vide la nascita di Elena, Castore, Polluce e Clitemnestra, futura moglie di Agamennone, il re di Micene che dichiarò guerra a Troia.