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BOOTES

Bootes, Bootis

Boo

 

 

 02 - Bootes (mito)

La costellazione del Bootes nell'Uranographia di Hevelius (1690). L'astronomo polacco aggregò alla costellazione anche un gruppo di stelle che chiamò Monte Menalo, un'importante montagna della Tessaglia, la regione dove si svolse la vicenda del mito. La raffigurazione del Bootes che poggia il piede destro sul Monte Menalo venne usata anche in altri atlanti celesti, ma il piccolo gruppo di stelle non divenne mai una costellazione indipendente e con la stesura del 1922 ad opera dell'Unione Astronomica Internazionale delle 88 costellazioni ufficiali, venne abolita. Nella stessa tavola compare anche la Chioma di Berenice.
Immagine: http://www.atlascoelestis.com

Bootes è una parola greca che significa bovaro. Egli sarebbe colui che guida i sette buoi rappresentati dalle stelle del Grande Carro. Ma la costellazione era nota nell’antichità anche col nome di Artofilace, unione delle parole greche arktòs che significa orso e phylax che significa guardiano. Dunque il Bootes è anche il guardiano dell’orso, o meglio dell’orsa dato che si trova alle spalle della costellazione della Grande Orsa. La tavola dedicata a Bootes dall’astronomo Johannes Hevelius (a inizio pagina) mostra un uomo che tiene al guinzaglio due cani – Chara e Asterion rappresentanti la costellazione dei Cani da Caccia – lanciati all’inseguimento dell’orsa. Siamo nel tanto celebrato mito di Giove e Callisto, attorno al quale ruotano quattro costellazioni: l’Orsa Maggiore, l’Orsa Minore, Bootes e i Cani da Caccia.

Callisto era una giovane e bellissima cacciatrice dell’Arcadia al seguito di Artemide, dea che ammetteva nel suo corteo solo vergini dal grande talento venatorio. Callisto era la prediletta della dea, ma un giorno cadde vittima di un inganno di Zeus che, volendola per sé, le si avvicinò assumendo le sembianze di Artemide. Mentre le parlava, perse il controllo e la strinse a sé svelando così la sua identità. Invano Callisto cercò di divincolarsi, divenendo ormai possesso di Zeus. Da quella unione un giorno ella avrebbe partorito un figlio di nome Arcade, in onore della regione greca di origine. Naturalmente per una seguace di Artemide perdere la verginità significava oltraggiare la dea. In più al trascorrere dei mesi la gravidanza di Callisto avrebbe costituito la prova del tradimento col ventre che si ingrossava. Tuttavia la fanciulla riuscì a nascondere il suo stato fin quasi al termine dei nove mesi.
 
Le sarebbe bastato partorire di nascosto e abbandonare il piccolo per evitare di essere scoperta e ci sarebbe anche riuscita se non fosse che un giorno Artemide, giunta a una fonte dall’acqua particolarmente limpida, propose alle giovani di riposarsi con un bagno. Inutilmente Callisto si rifiutò, tanto che le compagne si presero la briga di spogliarla e così facendo svelarono il segreto. Artemide inorridita non esitò a cacciarla dal gruppo e Callisto piangendo fuggì nel bosco.

Ma il suo tormento non era ancora finito: dalle nubi dell’Olimpo Era, la consorte di Zeus, attendeva l’occasione per vendicarsi del tradimento subito e decise di scagliarsi su Callisto proprio nel momento di maggiore umiliazione. Volle darle una punizione esemplare e così, dopo che ebbe partorito, da cacciatrice Era la rese preda e la trasformò in una gigantesca orsa. Per quindici anni Callisto sotto mentite spoglie vagò per i monti dell’Arcadia, terrorizzata dai lupi e dalla possibilità che gli uomini potessero colpirla. Finché venne il giorno in cui si imbatté in un ragazzo. Era Arcade, suo figlio, divenuto un abilissimo cacciatore. L’incontro colse entrambi di sorpresa, ma mentre Callisto riconobbe suo figlio, quest’ultimo invece non poteva sapere chi si celava dietro quell’orsa spaventata. In un batter d’occhio il ragazzo caricò l’arco con una freccia e avrebbe trafitto la madre se Zeus non fosse intervenuto in tempo fermandoli in quella posa e trasformandoli in costellazioni.

Ovidio nelle sue Metamorfosi racconta l’episodio con l’inconfondibile poesia che lo caratterizza:

[Arcade] inseguiva la selvaggina, sceglieva gli anfratti più adatti
e stendeva reti flessibili attorno alle selve dell’Erimanto,
quando a un tratto s’imbatté nella madre.
Essa trasalì e si arrestò, come lo vide,
e parve proprio che lo riconoscesse. Lui arretrò, spaventato
– perché non sapeva – da quegli occhi che immobili
lo fissavano senza fine, e quando essa accennò ad avvicinarglisi,
si preparava a trapassarle il petto con un dardo micidiale.
L’Onnipotente lo impedì: li bloccò entrambi,
e insieme bloccò il delitto, e sollevatili in aria con un vento veloce
li collocò nel cielo facendone due costellazioni vicine.
(Ovidio, Metamorfosi, II, 498-508)
 

Callisto divenne l’Orsa Maggiore, mentre Arcade fu Artofilace, ossia il suo guardiano. E a ricordarci che egli è il custode dell’orsa, c’è la luce intensa della stella Arturo il cui nome deriva dal greco arktòs che significa orso e ouròs altro termine che significa guardiano.

 

 

 

 

 

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